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An exploration of the ways that shifting relations between materiality and language bring about different forms of politics in Tehran\n\nIn Revolution of Things, Kusha Sefat traces a dynamism between materiality and language that sheds light on how the merger of the two permeates politics. To show how shifting relations between things and terms form the grounds for different modes of action, Sefat reconstructs the political history of postrevolutionary Iran at the intersection of everyday objects and words. Just as Islamism fashioned its own objects in Tehran during the 1980s, he explains, tyrannical objects generated a distinct form of Islamism by means of their material properties; everyday things from walls to shoes to foods were active political players that helped consolidate the Islamic Republic. Moreover, President Rafsanjani's \"liberalization\" in the 1990s was based not merely on state policies and post-Islamist ideologies but also on the unlikely things-including consumer products from the West-that engendered and sustained \"liberalism\" in Tehran.\n\nSefat shows how provincial vocabularies transformed into Islamist and post-Islamist discourses through the circulation of international objects. The globalization of objects, he argues, was constitutive of the different forms that politics took in Tehran, with each constellation affording and foreclosing distinct modes of agency. Sefat's intention is not to alter historical facts about the Islamic Republic but to show how we can rethink the matter of those facts. By bringing the recent \"material turn\" into conversation with the canons of structural analysis, poststructuralist theory, sociolinguistics, and Middle East studies, Sefat offers a unique perspective on Iran's revolution and its aftermath.

An exploration of the ways that shifting relations between materiality and language bring about different forms of politics in Tehran\n\nIn Revolution of Things, Kusha Sefat traces a dynamism between materiality and language that sheds light on how the merger of the two permeates politics. To show how shifting relations between things and terms form the grounds for different modes of action, Sefat reconstructs the political history of postrevolutionary Iran at the intersection of everyday objects and words. Just as Islamism fashioned its own objects in Tehran during the 1980s, he explains, tyrannical objects generated a distinct form of Islamism by means of their material properties; everyday things from walls to shoes to foods were active political players that helped consolidate the Islamic Republic. Moreover, President Rafsanjani's \"liberalization\" in the 1990s was based not merely on state policies and post-Islamist ideologies but also on the unlikely things-including consumer products from the West-that engendered and sustained \"liberalism\" in Tehran.\n\nSefat shows how provincial vocabularies transformed into Islamist and post-Islamist discourses through the circulation of international objects. The globalization of objects, he argues, was constitutive of the different forms that politics took in Tehran, with each constellation affording and foreclosing distinct modes of agency. Sefat's intention is not to alter historical facts about the Islamic Republic but to show how we can rethink the matter of those facts. By bringing the recent \"material turn\" into conversation with the canons of structural analysis, poststructuralist theory, sociolinguistics, and Middle East studies, Sefat offers a unique perspective on Iran's revolution and its aftermath.

Come ripensare l’umano di fronte alle tante sfide che, dal passato e dal futuro, sempre più lo accerchiano? Certamente evitando di ingaggiare polemiche e discussioni che, lungi dal misurarsi con la complessa tradizione da cui proveniamo, finiscono col confermarne, anche per gli anni a venire, gli aspetti più ideologici e retrivi. In diversa prospettiva, gli autori di questo volume hanno invece cercato, in prima battuta, di non fare di ‘tutt’erba un fascio’, rintracciando i tanti assunti anti-metafisici che attraversano questa stessa tradizione, senza rinunciare, in seconda battuta a delineare, dal tempo trascorso e per quello venturo, il filo rosso di un’umanologia, cioè di un dire e domandare dell’uomo e sull’uomo che ci restituisca quel che, in fondo, siamo: un impermanente passaggio, un costrutto nato da un costante e sempre asimmetrico scambio con diverse alterità, un concreto e delicato confronto con nuovi e spesso insospettati legami. In una parola, un artefatto che deve ricominciare a mettersi in cammino

Come ripensare l’umano di fronte alle tante sfide che, dal passato e dal futuro, sempre più lo accerchiano? Certamente evitando di ingaggiare polemiche e discussioni che, lungi dal misurarsi con la complessa tradizione da cui proveniamo, finiscono col confermarne, anche per gli anni a venire, gli aspetti più ideologici e retrivi. In diversa prospettiva, gli autori di questo volume hanno invece cercato, in prima battuta, di non fare di ‘tutt’erba un fascio’, rintracciando i tanti assunti anti-metafisici che attraversano questa stessa tradizione, senza rinunciare, in seconda battuta a delineare, dal tempo trascorso e per quello venturo, il filo rosso di un’umanologia, cioè di un dire e domandare dell’uomo e sull’uomo che ci restituisca quel che, in fondo, siamo: un impermanente passaggio, un costrutto nato da un costante e sempre asimmetrico scambio con diverse alterità, un concreto e delicato confronto con nuovi e spesso insospettati legami. In una parola, un artefatto che deve ricominciare a mettersi in cammino

\"Clara\" è un romanzo musicale che, fra realtà storica e fantasia, narra \"momenti\" dell'ultimo anno di vita di Johannes Brahms, una delle tre B della musica, assieme a Bach e Beethoven. L'autore si è chiesto quali pensieri possono avere attraversato la mente di un grande artista, come Brahms, dopo una vita ricca di musica e di ricordi, quali considerazioni sulla vita e sulla morte possono aver coinvolto l'animo di un uomo sensibile come pochi, soprattutto alla notizia della morte del suo angelo custode, come Brahms chiamava Clara Wieck a cui aveva sempre chiesto pareri, osservazioni e suggerimenti sulle sue composizioni.

\"Clara\" è un romanzo musicale che, fra realtà storica e fantasia, narra \"momenti\" dell'ultimo anno di vita di Johannes Brahms, una delle tre B della musica, assieme a Bach e Beethoven. L'autore si è chiesto quali pensieri possono avere attraversato la mente di un grande artista, come Brahms, dopo una vita ricca di musica e di ricordi, quali considerazioni sulla vita e sulla morte possono aver coinvolto l'animo di un uomo sensibile come pochi, soprattutto alla notizia della morte del suo angelo custode, come Brahms chiamava Clara Wieck a cui aveva sempre chiesto pareri, osservazioni e suggerimenti sulle sue composizioni.

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Il romanzo inizia con l'incontro casuale e quasi romanzesco dei genitori dell'autore alla vigilia della Seconda guerra mondiale e continua con il loro fidanzamento e matrimonio. Sono narrati momenti della giovinezza del padre, il suo attaccamento alle idee e al sentire del fratello maggiore, per lui maestro di vita, la sua vis politica durante il ventennio di dittatura fascista e nel frangente di tragedia e di lutto legati alla guerra. Sono anche raccontati momenti della vita dell'autore, visti e narrati dal padre, che è il vero io narrante del romanzo. Non si tratta di una biografia ma del racconto di stralci emotivamente significativi della vita dei genitori come a lui descritti o da lui vissuti.