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La cantina Tanganelli presenta il ‘Cibreo’, una bottiglia immediata e di ottimo equilibrio gustativo. Siamo nel sud-est della Toscana, tra Arezzo e Cortona, luogo dalla lunghissima tradizione vitivinicola risalente ai tempi degli Etruschi. In un’ottica di sostenibilità e salvaguardia di questo territorio bucolico, Marco Tanganelli, figura oggi al timone della tenuta, coltiva seguendo le pratiche dell’agricoltura biologica, senza utilizzo di alcun prodotto chimico di sintesi. Il nome di questa etichetta, che deriva dall’omonima ricetta fiorentina a base di frattaglie di pollo, vuole evidenziarne il carattere spontaneo e accessibile, che ne fa un vino semplice adatto alla quotidianità. Il ‘Cibreo’ Carlo Tanganelli proviene per il 70% da uve Sangiovese, cui è addizionato un 30% di Merlot e Malvasia Nera. I vigneti sono in parte localizzati in pianura e in parte in collina, su terreni sabbiosi e argillosi, e sono condotti secondo le pratiche dell’agricoltura biologica. La fermentazione ha luogo in acciaio grazie al solo intervento dei lieviti indigeni, con svolgimento completo della malolattica. La maturazione prosegue in vasche d’acciaio per un periodo di circa 10 mesi. Alla vista, il ‘Cibreo’ di Carlo Tanganelli esprime un’intensa colorazione rosso ciliegia. Immediato ma completo il corredo aromatico, con note di piccoli frutti rossi, quali lampone e ciliegia, arricchite da sentori terrosi, fungini e di sottobosco. Il sorso è equilibrato e di buona persistenza, caratterizzato da tannini giovani. Un vino rosso quotidiano e conviviale che, come suggerisce lo stesso nome, si abbina splendidamente al cibreo, o comunque a preparazioni a base di frattaglie. Da provare anche con taglieri di salumi assortiti

‘Mammi’, vino rosso di punta della cantina Tanganelli, è un Sangiovese toscano raffinato e spontaneo al contempo. Questa realtà produttiva artigianale si trova in provincia di Arezzo, ai piedi dell’Appennino, in un contesto ambientale fatto di boschi e arbusti mediterranei. Qui, Marco Tanganelli ha raccolto l’eredità del padre, affermandosi in breve tempo come uno straordinario agricoltore, fonte d’ispirazione per qualsiasi viticoltore. “Mammi” è il nome della vecchia vigna terrazzata da cui provengono le uve, a sua volta chiamata così dall’omonima frazione del comune di Castiglion Fiorentino, dov’è localizzata la cantina. Si tratta di una bottiglia prodotta unicamente nelle annate migliori, in quantità molto limitate. Carlo Tanganelli ‘Mammi’ è un’espressione di Sangiovese in purezza da una vecchia vigna terrazzata, radicata su suolo argilloso e allevata secondo i principi dell’agricoltura biologica. A seguito della raccolta manuale, i grappoli sono trasferiti in cantina, dove si realizzano spontaneamente in botti di legno sia la fermentazione alcolica sia quella malolattica. La macerazione sulle bucce si prolunga per svariate settimane e il vino è successivamente invecchiato per due anni in botti grandi di legno e per un ulteriore periodo in bottiglia prima dell’uscita sul mercato. Nel calice, il Sangiovese ‘Mammi’ di Tanganelli esibisce un manto rosso ciliegia intenso. Il panorama olfattivo è definito da profumi di frutti rossi maturi e fiori selvatici, associati a intensi sentori di cuoio, tabacco e cacao. All’assaggio rivela grande equilibrio tra morbidezza, verve fresco-sapida e tannino vellutato. La chiusura è lunga e bilanciata, di grande corrispondenza gusto-olfattiva. Rosso elegante e gastronomico, autentica manifestazione della varietà e del territorio che ne sono alle spalle.

Il Tanganelli ‘Anatrino’ rappresenta un vino bianco macerato sapido e dinamico, frutto di una visione viticola fondata sull’ecosostenibilità. Questo è il principio che ispira la produzione di Tanganelli, cantina dell’aretino dall’identità artigianale volta alla massima valorizzazione del territorio. ‘Anatrino’ è un Trebbiano Toscano in purezza, varietà appartenente alla famiglia dei Trebbiani, uno dei gruppi più vasti e diversificati, dall’origine antichissima. Il prolungato contatto tra il mosto e le bucce consente di arricchire e caratterizzare il profilo sensoriale del vino, fornendo un’interpretazione originale che non lesina in agilità e scorrevolezza. L’orange wine ‘Anatrino’ di Carlo Tanganelli deriva da sole uve di Trebbiano Toscano, coltivate su terreni sabbiosi e argillosi secondo i principi dell’agricoltura biologica. A seguito della vendemmia, realizzata a mano, ha luogo la fermentazione alcolica in acciaio condotta dai soli lieviti indigeni, con 7 giorni di macerazione sulle bucce. Dopo la svinatura e terminato il processo fermentativo, il vino trascorre 7 mesi in tini d’acciaio per la maturazione, prima di essere posto in bottiglia. Il bianco macerato Tanganelli ‘Anatrino’ è di un radioso colore giallo dorato luminoso. Invitanti gli aromi del naso, descritti da richiami fruttati di melone e albicocca che incontrano sentori di pompelmo e fiori di campo. Al palato, la spiccata freschezza rende la beva agile, in uno sviluppo gustativo pungente e di ottima sapidità. Etichetta dalla personalità spontanea e vivace, assai versatile a tavola. Formaggi mediamente stagionati, preparazioni di mare di buona struttura, paste e risotti vari sono solo alcuni esempi di abbinamenti papabili.

La cantina Tanganelli presenta il ‘Cibreo’, una bottiglia immediata e di ottimo equilibrio gustativo. Siamo nel sud-est della Toscana, tra Arezzo e Cortona, luogo dalla lunghissima tradizione vitivinicola risalente ai tempi degli Etruschi. In un’ottica di sostenibilità e salvaguardia di questo territorio bucolico, Marco Tanganelli, figura oggi al timone della tenuta, coltiva seguendo le pratiche dell’agricoltura biologica, senza utilizzo di alcun prodotto chimico di sintesi. Il nome di questa etichetta, che deriva dall’omonima ricetta fiorentina a base di frattaglie di pollo, vuole evidenziarne il carattere spontaneo e accessibile, che ne fa un vino semplice adatto alla quotidianità. Il ‘Cibreo’ Carlo Tanganelli proviene per il 70% da uve Sangiovese, cui è addizionato un 30% di Merlot e Malvasia Nera. I vigneti sono in parte localizzati in pianura e in parte in collina, su terreni sabbiosi e argillosi, e sono condotti secondo le pratiche dell’agricoltura biologica. La fermentazione ha luogo in acciaio grazie al solo intervento dei lieviti indigeni, con svolgimento completo della malolattica. La maturazione prosegue in vasche d’acciaio per un periodo di circa 10 mesi. Alla vista, il ‘Cibreo’ di Carlo Tanganelli esprime un’intensa colorazione rosso ciliegia. Immediato ma completo il corredo aromatico, con note di piccoli frutti rossi, quali lampone e ciliegia, arricchite da sentori terrosi, fungini e di sottobosco. Il sorso è equilibrato e di buona persistenza, caratterizzato da tannini giovani. Un vino rosso quotidiano e conviviale che, come suggerisce lo stesso nome, si abbina splendidamente al cibreo, o comunque a preparazioni a base di frattaglie. Da provare anche con taglieri di salumi assortiti

‘Mammi’, vino rosso di punta della cantina Tanganelli, è un Sangiovese toscano raffinato e spontaneo al contempo. Questa realtà produttiva artigianale si trova in provincia di Arezzo, ai piedi dell’Appennino, in un contesto ambientale fatto di boschi e arbusti mediterranei. Qui, Marco Tanganelli ha raccolto l’eredità del padre, affermandosi in breve tempo come uno straordinario agricoltore, fonte d’ispirazione per qualsiasi viticoltore. “Mammi” è il nome della vecchia vigna terrazzata da cui provengono le uve, a sua volta chiamata così dall’omonima frazione del comune di Castiglion Fiorentino, dov’è localizzata la cantina. Si tratta di una bottiglia prodotta unicamente nelle annate migliori, in quantità molto limitate. Carlo Tanganelli ‘Mammi’ è un’espressione di Sangiovese in purezza da una vecchia vigna terrazzata, radicata su suolo argilloso e allevata secondo i principi dell’agricoltura biologica. A seguito della raccolta manuale, i grappoli sono trasferiti in cantina, dove si realizzano spontaneamente in botti di legno sia la fermentazione alcolica sia quella malolattica. La macerazione sulle bucce si prolunga per svariate settimane e il vino è successivamente invecchiato per due anni in botti grandi di legno e per un ulteriore periodo in bottiglia prima dell’uscita sul mercato. Nel calice, il Sangiovese ‘Mammi’ di Tanganelli esibisce un manto rosso ciliegia intenso. Il panorama olfattivo è definito da profumi di frutti rossi maturi e fiori selvatici, associati a intensi sentori di cuoio, tabacco e cacao. All’assaggio rivela grande equilibrio tra morbidezza, verve fresco-sapida e tannino vellutato. La chiusura è lunga e bilanciata, di grande corrispondenza gusto-olfattiva. Rosso elegante e gastronomico, autentica manifestazione della varietà e del territorio che ne sono alle spalle.

Il ‘Pianelli di Mammi’ è un vino rosso toscano, prodotto dalla cantina artigianale Tanganelli, in grado di associare struttura e dinamicità gustativa. Quest’etichetta è vinificata a partire da Sangiovese, cui sono aggiunte piccole percentuali di Malvasia Nera e Colorino per addolcirne le caratteristiche sensoriali. La lavorazione prevede l’impiego dell’antica tecnica del cosiddetto “governo all’uso toscano”, che consiste nell’aggiunta di mosto da uve leggermente appassite al mosto primario che ha appena terminato la fermentazione, avviandone così una seconda che si prolunga fino a primavera. Riguardo il nome della bottiglia, i “pianelli” sono le strisce di terreno che separano due filari, in altre parole gli interfilari, mentre “Mammi” è una frazione del comune di Castiglion Fiorentino da cui trae il nome l’omonimo vigneto collinare affacciato sulla Val di Chiana. Carlo Tanganelli ‘Pianelli di Mammi’ deriva da un assemblaggio di Sangiovese (85%), Malvasia Nera (10%) e Colorino (5%), coltivati su terreni argillosi a regime biologico. Dopo la vendemmia, il mosto ricavato è posto in botti di legno dove hanno luogo la fermentazione alcolica e quella malolattica grazie, rispettivamente, ai lieviti e ai batteri lattici indigeni. Terminata la trasformazione, si effettua l’addizione di mosto da uve leggermente appassite secondo la pratica del governo all’uso toscano, con la seconda fermentazione alcolica che si prolunga fino a primavera. Il vino matura infine per 6 mesi in vasche d’acciaio prima dell’imbottigliamento. Il ‘Pianelli di Mammi’ di Tanganelli possiede una tonalità rosso rubino intenso. Il bouquet aromatico spazia da profumi di frutti di bosco e ciliegia fino a note di cioccolato e cuoio. Il gusto mostra buon corpo, tannini bilanciati e lunga persistenza. Interpretazione tipica della Toscana, di evocativa ancestralità.

Il ‘Pianelli di Mammi’ è un vino rosso toscano, prodotto dalla cantina artigianale Tanganelli, in grado di associare struttura e dinamicità gustativa. Quest’etichetta è vinificata a partire da Sangiovese, cui sono aggiunte piccole percentuali di Malvasia Nera e Colorino per addolcirne le caratteristiche sensoriali. La lavorazione prevede l’impiego dell’antica tecnica del cosiddetto “governo all’uso toscano”, che consiste nell’aggiunta di mosto da uve leggermente appassite al mosto primario che ha appena terminato la fermentazione, avviandone così una seconda che si prolunga fino a primavera. Riguardo il nome della bottiglia, i “pianelli” sono le strisce di terreno che separano due filari, in altre parole gli interfilari, mentre “Mammi” è una frazione del comune di Castiglion Fiorentino da cui trae il nome l’omonimo vigneto collinare affacciato sulla Val di Chiana. Carlo Tanganelli ‘Pianelli di Mammi’ deriva da un assemblaggio di Sangiovese (85%), Malvasia Nera (10%) e Colorino (5%), coltivati su terreni argillosi a regime biologico. Dopo la vendemmia, il mosto ricavato è posto in botti di legno dove hanno luogo la fermentazione alcolica e quella malolattica grazie, rispettivamente, ai lieviti e ai batteri lattici indigeni. Terminata la trasformazione, si effettua l’addizione di mosto da uve leggermente appassite secondo la pratica del governo all’uso toscano, con la seconda fermentazione alcolica che si prolunga fino a primavera. Il vino matura infine per 6 mesi in vasche d’acciaio prima dell’imbottigliamento. Il ‘Pianelli di Mammi’ di Tanganelli possiede una tonalità rosso rubino intenso. Il bouquet aromatico spazia da profumi di frutti di bosco e ciliegia fino a note di cioccolato e cuoio. Il gusto mostra buon corpo, tannini bilanciati e lunga persistenza. Interpretazione tipica della Toscana, di evocativa ancestralità.

Il Tanganelli ‘Anatrino’ rappresenta un vino bianco macerato sapido e dinamico, frutto di una visione viticola fondata sull’ecosostenibilità. Questo è il principio che ispira la produzione di Tanganelli, cantina dell’aretino dall’identità artigianale volta alla massima valorizzazione del territorio. ‘Anatrino’ è un Trebbiano Toscano in purezza, varietà appartenente alla famiglia dei Trebbiani, uno dei gruppi più vasti e diversificati, dall’origine antichissima. Il prolungato contatto tra il mosto e le bucce consente di arricchire e caratterizzare il profilo sensoriale del vino, fornendo un’interpretazione originale che non lesina in agilità e scorrevolezza. L’orange wine ‘Anatrino’ di Carlo Tanganelli deriva da sole uve di Trebbiano Toscano, coltivate su terreni sabbiosi e argillosi secondo i principi dell’agricoltura biologica. A seguito della vendemmia, realizzata a mano, ha luogo la fermentazione alcolica in acciaio condotta dai soli lieviti indigeni, con 7 giorni di macerazione sulle bucce. Dopo la svinatura e terminato il processo fermentativo, il vino trascorre 7 mesi in tini d’acciaio per la maturazione, prima di essere posto in bottiglia. Il bianco macerato Tanganelli ‘Anatrino’ è di un radioso colore giallo dorato luminoso. Invitanti gli aromi del naso, descritti da richiami fruttati di melone e albicocca che incontrano sentori di pompelmo e fiori di campo. Al palato, la spiccata freschezza rende la beva agile, in uno sviluppo gustativo pungente e di ottima sapidità. Etichetta dalla personalità spontanea e vivace, assai versatile a tavola. Formaggi mediamente stagionati, preparazioni di mare di buona struttura, paste e risotti vari sono solo alcuni esempi di abbinamenti papabili.

La narrazione affronta le fasi cruciali della vita di un uomo del sud viste attraverso il ricordo della giovinezza, dei sacrifici e di un lontano amore, che è finito pur rimanendo incancellabile tra la bruma di Venezia. Alberto, il protagonista, è essenzialmente un solitario, che riflette sulla sua esistenza e sulle conclusioni cui addiviene nell'età matura, scaturenti da quel dissidio interno che caratterizza il suo animo. Il viaggio che intraprende per dare l'estremo saluto alla donna che aveva amato nella giovinezza, scomparsa prematuramente, prelude a degli eventi che cambieranno totalmente la sua vita e che lo faranno uscire da quello stato di malinconia e di abulìa tipiche del suo atteggiamento. Egli, infatti, scopre un'inattesa verità riguardante la storia con la sua ragazza di un tempo e il caso vuole che conosca anche una donna dalla quale si sentirà sempre più attratto. Il mare è una costante della vita di Alberto, la \"mediterraneità\" è l'elemento conduttore nella cornice geografica lungo la quale si muove quest'uomo che, negli anni della maturità, ha l'occasione di constatare che i valori essenziali dell'esistenza sono configurabili in \"poche cose da dire\".

La narrazione affronta le fasi cruciali della vita di un uomo del sud viste attraverso il ricordo della giovinezza, dei sacrifici e di un lontano amore, che è finito pur rimanendo incancellabile tra la bruma di Venezia. Alberto, il protagonista, è essenzialmente un solitario, che riflette sulla sua esistenza e sulle conclusioni cui addiviene nell'età matura, scaturenti da quel dissidio interno che caratterizza il suo animo. Il viaggio che intraprende per dare l'estremo saluto alla donna che aveva amato nella giovinezza, scomparsa prematuramente, prelude a degli eventi che cambieranno totalmente la sua vita e che lo faranno uscire da quello stato di malinconia e di abulìa tipiche del suo atteggiamento. Egli, infatti, scopre un'inattesa verità riguardante la storia con la sua ragazza di un tempo e il caso vuole che conosca anche una donna dalla quale si sentirà sempre più attratto. Il mare è una costante della vita di Alberto, la \"mediterraneità\" è l'elemento conduttore nella cornice geografica lungo la quale si muove quest'uomo che, negli anni della maturità, ha l'occasione di constatare che i valori essenziali dell'esistenza sono configurabili in \"poche cose da dire\".

Giorgio Manganelli è oggi celebrato con sospetta unanimità, ma ancora in vita era per lo più vituperato ed esecrato. Con questo nuovo volume della collana «Riga» si vuole celebrare il centenario della sua nascita, oltre alla sua straordinaria grandezza come scrittore. Nella prima parte del libro sono raccolti gli scritti di Manganelli ancora oggi considerati rari insieme a nuovi rinvenimenti sorprendenti. È il caso dei contributi al Movimento di cooperazione civica, che confermano l'intuizione di Calvino, per il quale al dichiaratamente amorale Manganelli spettava la qualifica di «\"moralista\" e perfino di \"interprete del nostro tempo\"». La seconda parte presenta invece diverse interviste, uscite sulle sedi più peregrine non solo in Italia, in cui Manganelli rivelava anche il suo lato di irresistibile conversatore. L'ultima parte è composta da un'antologia critica in cui si rende conto della sempre più conclamata, paradossale centralità di questo eccentrico per antonomasia: «lo spregevole, il dappoco, il marginale», come si definiva lo stesso Manganelli. Sono qui raccolti scritti di Italo Calvino, Walter Pedullà, Edoardo Sanguineti, Giulia Niccolai, J. Rodolfo Wilcock, Giovanni Raboni, Pietro Citati, Maria Corti, Alberto Arbasino, Pier Vincenzo Mengaldo, Pietro Citati, Ludovica Koch, Viola Papetti, Geno Pampaloni, Emanuele Trevi, Gilda Policastro, Klaus Wagenbach, Jacqueline Risset e molti altri.

Giorgio Manganelli è oggi celebrato con sospetta unanimità, ma ancora in vita era per lo più vituperato ed esecrato. Con questo nuovo volume della collana «Riga» si vuole celebrare il centenario della sua nascita, oltre alla sua straordinaria grandezza come scrittore. Nella prima parte del libro sono raccolti gli scritti di Manganelli ancora oggi considerati rari insieme a nuovi rinvenimenti sorprendenti. È il caso dei contributi al Movimento di cooperazione civica, che confermano l'intuizione di Calvino, per il quale al dichiaratamente amorale Manganelli spettava la qualifica di «\"moralista\" e perfino di \"interprete del nostro tempo\"». La seconda parte presenta invece diverse interviste, uscite sulle sedi più peregrine non solo in Italia, in cui Manganelli rivelava anche il suo lato di irresistibile conversatore. L'ultima parte è composta da un'antologia critica in cui si rende conto della sempre più conclamata, paradossale centralità di questo eccentrico per antonomasia: «lo spregevole, il dappoco, il marginale», come si definiva lo stesso Manganelli. Sono qui raccolti scritti di Italo Calvino, Walter Pedullà, Edoardo Sanguineti, Giulia Niccolai, J. Rodolfo Wilcock, Giovanni Raboni, Pietro Citati, Maria Corti, Alberto Arbasino, Pier Vincenzo Mengaldo, Pietro Citati, Ludovica Koch, Viola Papetti, Geno Pampaloni, Emanuele Trevi, Gilda Policastro, Klaus Wagenbach, Jacqueline Risset e molti altri.

\"Dio, non perdonare chi poteva essere poeta e s'è perduto chi poteva essere santo e non è neppure un uomo.\" La poesia, croce e delizia, per Manganelli, ma anche la poesia come maledizione. La poesia che lo insegue, non gli dà respiro, \"vuole essere scritta\". E il Manga ubbidisce.

\"Dio, non perdonare chi poteva essere poeta e s'è perduto chi poteva essere santo e non è neppure un uomo.\" La poesia, croce e delizia, per Manganelli, ma anche la poesia come maledizione. La poesia che lo insegue, non gli dà respiro, \"vuole essere scritta\". E il Manga ubbidisce.

Per lunghi anni, mentre «le autorità politico-religiose» erano «riunite in conclave estetico, per decidere se la letteratura» fosse «fatua o semplicemente criminosa», Giorgio Manganelli esplorò instancabilmente quella che qui viene definita «sostanza notte» – da non confondere con la «notte accidentale» che tutti conosciamo, «cosa senza paragone diversa». Una notte integra e compatta, che ha «forma di parallelepipedo» e non si lascia «ledere»; una sostanza che, sebbene molti vi riconoscano un «muro di tenebre» e una «piaga senza storia» da abolire senza esitazione, pur sempre riesce ad attirare dentro di sé taluni che le si rivolgono nella speranza di poterla modificare. Costoro a volte finiscono addirittura per invaghirsene e infettarsene, fino a diventare «dei notturni periferici, inetti a vivere all’interno di quella notte compatta, e repugnanti a perdurare nel nostro mondo della notte accidentale». A questi esseri, fra i quali vanno annoverati molti dei suoi lettori, Manganelli consegnava cronache e notizie della terra cimmeria in cui ormai costantemente soggiornava, perseguendo un’equa distribuzione di forme: dai travolgenti corsivi destinati alla prima pagina dei quotidiani ad ardue costruzioni in forma di libro, sempre tese al punto dove «quello che viene scritto è il nulla». In una zona appartata, e solo in rari casi mostrandosi al pubblico, si accumularono anche dei racconti, di cui qui presentiamo un’inedita e folta silloge corrispondente a un progetto tracciato dall’autore.

Per lunghi anni, mentre «le autorità politico-religiose» erano «riunite in conclave estetico, per decidere se la letteratura» fosse «fatua o semplicemente criminosa», Giorgio Manganelli esplorò instancabilmente quella che qui viene definita «sostanza notte» – da non confondere con la «notte accidentale» che tutti conosciamo, «cosa senza paragone diversa». Una notte integra e compatta, che ha «forma di parallelepipedo» e non si lascia «ledere»; una sostanza che, sebbene molti vi riconoscano un «muro di tenebre» e una «piaga senza storia» da abolire senza esitazione, pur sempre riesce ad attirare dentro di sé taluni che le si rivolgono nella speranza di poterla modificare. Costoro a volte finiscono addirittura per invaghirsene e infettarsene, fino a diventare «dei notturni periferici, inetti a vivere all’interno di quella notte compatta, e repugnanti a perdurare nel nostro mondo della notte accidentale». A questi esseri, fra i quali vanno annoverati molti dei suoi lettori, Manganelli consegnava cronache e notizie della terra cimmeria in cui ormai costantemente soggiornava, perseguendo un’equa distribuzione di forme: dai travolgenti corsivi destinati alla prima pagina dei quotidiani ad ardue costruzioni in forma di libro, sempre tese al punto dove «quello che viene scritto è il nulla». In una zona appartata, e solo in rari casi mostrandosi al pubblico, si accumularono anche dei racconti, di cui qui presentiamo un’inedita e folta silloge corrispondente a un progetto tracciato dall’autore.

Nel Padre Nostro è rinvenibile un \"progetto di vita\" da realizzare nel mondo ma che riflette un \"progetto celeste\". Si giustifica, pertanto, il titolo della prima parte del saggio: \"In terra come in cielo\". Inoltre, nel libro si mostra come determinati processi naturali consentano di verificare quanto sia vero che - come ha affermato Giordano Bruno - \"mediante le cose create si capiscono le invisibili cose di Dio\". Di qui il titolo della seconda parte: \"In cielo come in terra\".

L'errore fu nascere sotto lo Scorpione, o in opposizione di pianeti infausti: o forse l'errore fu nascere, nient'altro.

L'errore fu nascere sotto lo Scorpione, o in opposizione di pianeti infausti: o forse l'errore fu nascere, nient'altro.

Nel 1986 l'editore Franco Maria Ricci sottopose allo sguardo di Giorgio Manganelli immagini disparate: tabacchiere e stemmi come celebri quadri e affreschi, vetri preziosi e fotografie, disegni e frammenti di templi. Immobile al suo tavolo di scrittore, Manganelli elaborava prosa sulla base di queste immagini, scriveva cronache di visite immaginarie come un nuovo Diderot che ci offra resoconti di sempre innovativi Salons.